venerdì 29 novembre 2013

Cinema spoglio. "Ossigeno" di Piero Cannizzaro

di Fiorenza Villano

Sono rimasta positivamente colpita dal docu-film visto venerdì 15 novembre: Ossigeno di Piero Cannizzaro.
Tralasciando il piacere di avere in aula non solo studenti ma altri professori e professionisti del settore, ho apprezzato l'originalità di questo documentario, di questo film.
Non ci sono effetti speciali, non ci sono movimenti particolari di telecamera (se particolare non vogliamo definire il modo in cui è stato girato), non ci sono cambiamenti di scena rilevanti, non ci sono personaggi.

C'è solo lui, il protagonista. Il protagonista ed il suo volto, sporadicamente lasciato per inquadrare le sue mani o i suoi piedi.
Un volto segnato dalle storie a cui ci permette di partecipare in un modo semplice ma coinvolgente, anche per me, che quell'epoca non l'ho vissuta, che quella vita di vent'anni di carcere ed orrore non l'ho vista e non ho mai neanche immaginato, mi permette di riviverla, quasi di sentirla mia. Un modo narrativo semplice che richiama la narrazione orale dei padri e dei nonni che ricordano momenti andati della loro vita e che pure sembrano lì, avanti agli occhi.

Ero con il Signor Agrippino Costa  quando tenta l’evasione da Pianosa, ero con lui quando conosce la prostituta dal volto materno di Marsiglia, quando viene chiuso in un manicomio. Le sue evoluzioni, le sue esperienze, le sue comprensioni sulla vita che non sono date da uno studio disperato dell’esistenza ma dalla mera esperienza di una vita all’insegna dell’anarchia, al seguito dei brigatisti, diventano anche le mie.
E diventano le mie grazie alla sua voce, grazie alle inquadrature semplici, amatoriali del regista.
È stato bello conoscere il coinvolgimento tra il Signor Cannizzaro e il signor Costa in un’esperienza di tredici anni che viene intervallata dagli ulivi pugliesi  tra un racconto ed un altro e che porterà al culmine di una vita piena di amore grazie a Lucia, a quel femminile che in tutti deve essere scoperto, e anche grazie ai suoi figli.

È stato bello conoscere il legame che in un lasso di tempo così grande aveva unito queste due figure, attore della propria vita e regista della vita e delle esperienze di altri, è stato interessante conoscere l’empatia che li legava e che è stata riportata in una pellicola così spoglia di qualsiasi farcitura cinematografica.
Si è parlato di paesaggio umano, perché era tutto un primo piano sul volto espressivo dell’uomo, sui suoi occhi, sulle sue rughe, sulla sua bocca. Non era ciò che circondava l’uomo ad importare, non i paesaggi, non i luoghi ma l’essere nella sua totale pienezza che non permette allo spettatore di stancarsi, di staccare gli occhi dell’immaginazione da una storia così surreale eppure veritiera.

Un film coraggioso, che mi ha piacevolmente sorpreso e che mi porta sempre di più a quanto sia falsa la connotazione di “morto” che si da al cinema italiano contemporaneo.

Spero riesca a superare in qualche modo tutti gli ostacoli che il nostro Stato, la nostra legislatura ha imposto, così come in altri ambiti, a questo mondo meraviglioso, che può essere sia portatore di illusioni sia portatore di verità che ora come ora nel nostro asfissiato paese non ha possibilità di emergere e splendere come dovrebbe.

1 commento:

  1. Spesso da anni, forse da centinaia di anni, il tuo volto, Agrippino, mi appare in sogno...come se tanti anni fa fossimo vissuti insieme in una tribù di pellerossa...nonostante negli ultimi venti anni ci siamo incontrati solo una decina di volte o poco più, a casa tua o a casa di Peter, ti voglio un gran bene... incontrarti poi casualmente a Roma in quella chiesa di missionari è stata una emozionante sorpresa, resta in me un'incontro sacro... Ti abbraccio Agrippino.
    Giovanni

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