lunedì 28 ottobre 2013

Ritratto di una famiglia sui generis. "Anni felici", di Daniele Luchetti

di Daniele Greco

L'estate del 1974 di una famiglia romana.
Un’estate filtrata dagli occhi di un bambino di 10 anni. Un'estate di tradimenti, litigi, dissapori, confessioni e riconciliazioni.
Il padre, scultore, frustrato per la sua incapacità di uscire dalla gabbia del suo vissuto borghese. La madre, nata in una famiglia di commercianti, il cui argomento principe nelle discussioni è il denaro, ("i soldi" per usare le parole di Dario), poco interessata all'arte ma molto all'artista, frustrata dalle poche attenzioni del marito e rosa dalla gelosia.

martedì 22 ottobre 2013

Il dramma è nero. "Terraferma", di Emanuele Crialese

di Francesca Ragozzino

La regia di Emanuele Crialese in “Terraferma” punta a un’estrema drammatizzazione, sicuramente il plot incentrato sull’immigrazione contribuisce al senso di dolore e di angoscia. Il mare è  il filo conduttore, esso dona claustrofobia, in un’isola dove tutto arriva e niente esce, ad eccezione dell’ultima inquadratura. 
È inganno e tragedia con l’approdo di tanti uomini neri che rompono la quotidianità turistica e portano con sé una nebbia nera che ricopre le vite e lo sguardo degli isolani, costretti a guardare con gli occhi della verità, cambiando le loro prospettive e priorità. Ad eccezione di alcuni personaggi, che rimarranno fermi, fin troppo, sui loro principi, del tutto opposti al messaggio di solidarietà ed impegno civile su cui punta il film. 

"Reality". L'occhio giudice di Matteo Garrone

di Nicolas Bilchi

Penso che "Reality" di Matteo Garrone sia un film importante sopratutto perché dimostra definitivamente la piena maturità registica di questo autore. 
Il contenuto essenziale dell'opera consiste nel mostrare l'esistenza, attraverso le vicende di un pescivendolo napoletano che partecipa alle selezioni del Grande Fratello e attraverso l'attesa di un verdetto che non arriva e stravolge la sua vita e modifica il suo modo di rapportarsi al mondo, di una industria culturale che, servendosi della televisione quale medium in grado di creare una comunicazione unilaterale con un elevatissimo numero di fruitori, mira all'edificazione di un sistema di valori che il regista giudica evidentemente distruttivo: per raggiungere il successo, la notorietà, per arrivare ad una piena realizzazione del sé e per migliorare la propria condizione sociale, l'unica via possibile è "andare in TV", partecipare ad un reality show, e aderire necessariamente ai canoni estetico-comportamentali che il sistema impone quali requisiti fondamentali per esserne "accettati".

mercoledì 16 ottobre 2013

Ritratto di un Maestro. "Che strano chiamarsi Federico", di Ettore Scola

di Francesca Ragozzino


Scola ha realizzato un incantevole ritratto di Federico Fellini, un mosaico di interviste, disegni, voci, ricordi, fotografie, video e finzione. Per il ventennale della sua morte, il film riesce a mantenere quel carattere eccentrico e del tutto particolare proprio del Maestro. E solamente un caro amico e compagno di vita come Scola poteva mettere insieme in tal modo tutti i ricordi, permettendo un’immersione cangiante e totale in quel periodo incantevole e pieno di sogni.

L'Italia nello specchio del cinema. "Il Caimano", di Nanni Moretti

di Laura Sabatini

La trama si snoda su di un doppio livello: quello della realtà, che segue le vicende del produttore Bruno Bonomo (Silvio Orlando), e quello della finzione in cui viene rappresentata in forma filmica la sceneggiatura, ispirata ai fatti della vita di Berlusconi, intorno alla quale si snoda l'intero il film. Le vite dei due protagonisti, Bruno ed il Caimano, sembrano avere un andamento diametralmente opposto. Bruno, produttore fallito e pieno di debiti, sta vivendo un periodo difficile, non solo sul piano lavorativo, ma anche su quello personale dal momento che la moglie (Margherita Buy) lo ha appena lasciato chiedendo il divorzio. Contemporaneamente seguiamo l'ascesa del Caimano, da uomo d'affari a uomo politico, al centro dell'interesse pubblico. 

Il profumo delle arance nell'inferno felliniano. "Che strano chiamarsi Federico", di Ettore Scola

di Donato Leoni

Cerco di trovare il film usando internet, in streaming o Emule per scaricarlo (come avrebbe fatto qualunque mio coetaneo), ma non ci riesco in nessun modo. Allora mi informo se viene ancora proiettato in qualche sala, finalmente lo trovo! 
E sembra che l'unico modo per andare a vederlo sia quello di andare al "Greenwich" a Testaccio. Arrivo in un nuvoloso pomeriggio di domenica, entro, e appena seduto mi accorgo di trovarmi in un universo cinematografico totalmente distante da quello che sono abituato a vedere nei Multiplex. Qui si respira ancora l'aria del "vecchio cinema", quello di cui mi parlava mio nonno. Un luogo in cui ci si recava con le uova e una ciotola per farsi "l'uovo sbattuto" e berlo durante la proiezione, mentre si guardava il film. 
Mi accorgo di questo dagli odori che arrivano alla mia poltrona, dalla sala: gente che sbuccia e mangia arance, gente che mangia panini caldi e che si è portata altra frutta da casa, dalla quale emanano odori inebrianti.
Mi sento "a casa", anche perché mia nonna è stata una dipendente dell'Istituto Luce per 41 anni e conosceva benissimo Fellini, quindi mi sento doppiamente motivato a "godermi il film".