giovedì 21 novembre 2013

La vita iniettata nella forma in "Noi non siamo come James Bond"

di Nicolas Bilchi


Il documentario di Mario Balsamo "Noi non siamo come James Bond" si pone all'interesse come opera estremamente poliedrica, in grado cioè di sviluppare una serie di discorsi paralleli, sorretti e nobilitati dalla riflessione metalinguistica dell'autore. 
Guardando il film si percepisce in modo chiaro che oltre la "storia" vi è una indagine portata direttamente sulle strutture che la contengono: la forma e il senso del documentario come tipologia di costruzione di un testo filmico. Di esso Balsamo contesta con veemenza la percezione superficiale, che vorrebbe il documentario essere nient'altro che registrazione assolutamente oggettiva di una realtà data a priori. 

Una definizione di questo tipo può essere abbracciata senza riserve soltanto da chi non possieda una conoscenza reale e critica del dispositivo cinematografico: non solo perché "tutto il cinema è narrativo", in quanto presuppone una istanza narrante e la creazione di un "racconto" attraverso il succedersi temporale di inquadrature, secondo la nota affermazione di Metz, e non solo perché il principio della riproducibilità del mondo si scontra necessariamente con la sua contraddizione logica, vale a dire l'incapacità della macchina di cogliere nient'altro che una frazione del reale, oltretutto deformandola in virtù delle proprie caratteristiche tecniche; ma forse ancor di più perché l'atto della registrazione presuppone necessariamente che vi sia un soggetto dietro l'obiettivo che scelga cosa sia meritevole di essere inquadrato, cosa scartare e cosa sacrificare. 

Nel caso di "Noi non siamo come James Bond" questi principi universalmente validi trovano un fattore che ne incrementa esponenzialmente la portata nella scelta del regista di assumere come materia da coronare a "documento" la propria esperienza personale. Prendere se stessi come oggetto di uno sforzo che non è di riproduzione ma piuttosto di interpretazione della realtà, porsi in un certo senso dietro e davanti la telecamera nello stesso tempo, è una impostazione che produce necessariamente delle ripercussioni estetiche forti sul procedimento creativo. 
Il film di Balsamo è prima di tutto un documentario straordinariamente "intimista": la reazione necessaria, esistenziale, di un narratore per immagini di fronte ad una particolare condizione del proprio spirito. Ma proprio poiché il creatore del racconto e la materia "raccontata" coincidono, va da sè che Balsamo non può trascurare il problema del rapporto tra realtà e finzione: i due termini raggiungono il massimo apice di condensazione, di assoluta inscindibilità reciproca, nell'attimo in cui Mario e Guido parlano delle loro malattie nella piena consapevolezza della presenza di una telecamera che registra la confessione. Senza di essa non ne avrebbero probabilmente parlato in questo modo, ma forse non ne avrebbero parlato affatto; l'ambiguità del testo rispecchia così la medesima ambiguità del giudizio di valore da imputare all'occhio-cinema, soggetto invadente e potenzialmente distruttivo (nelle sequenze del litigio a seguito dell'incidente) ma anche medium che con la sua presenza concreta davanti agli uomini ne predispone in modo particolarissimo gli atteggiamenti e fa sì che ai loro gesti venga riconosciuto un senso ulteriore rispetto alla pura (e come detto impossibile) documentazione.

La consapevolezza dell'autore del miscelarsi irrefrenabile di vero e finto nell'immagine finita lo conduce allora a portare avanti il suo ulteriore interrogativo: se temi fondamentali di "Noi non siamo come James Bond" sono la paura della morte, il destino irreversibile di decadenza dell'essere umano, il valore dell'amicizia e la nostalgia del tempo passato, non di meno, e forse anche di più, lo è quello della ricerca espressiva sul dispositivo.
Esso è sviluppato a mio parere attraverso un meccanismo di costruzione del testo che ne è in realtà una decostruzione, o meglio è la frustrazione sistematica non solo di ogni aspettativa dello spettatore, ma anche di ogni sua risposta negativa di fronte a questi tradimenti, cosa che infine si identifica con una riaffermazione dell'aspettativa tradita, una riaffermazione però potenziata, elevata al quadrato. In concreto, l'osservatore predisposto alla visione di un documentario rimarrà se non altro smarrito da un inizio che sembra percorrere decisamente i binari della finzione: i dialoghi sono chiaramente costruiti, la scelta di un abbigliamento "a tema" non può che essere frutto di un'azione costruita per essere filmata. L'inevitabile allerta critica del pubblico di fronte a questa sorta di falso documentario viene presto vanificata quando i temi personali iniziano ad essere presentati e divengono gradualmente la parte predominante del testo, quando cioè la vita viene iniettata nella forma finzionale con tale energia da spingerla all'estremo della sua logicità. 

A questo punto neanche lo spettatore più indisposto potrebbe ancora contestare il valore assolutamente documentario di questo film: ecco allora che la modalità di sguardo originaria, inizialmente contraddetta, si riafferma. Ma sarebbe meglio dire che "è fatta riaffermare", nel senso che è l'artista, attraverso questo procedimento violento di collisione tra istanze narrative antitetiche, che produce nel pubblico una presa di coscienza, rendendo evidente che la presenza della fiction nella forma del documentario non rappresenta un paradosso o un errore, ma piuttosto un valore aggiunto. Ed è utilissimo notare, in chiusura, che il risultato è raggiunto non attraverso una dimostrazione teorica logicamente lineare, ma tramite l'essenza delle immagini: nessuno potrebbe dire, una volta conclusa la visione, che "Noi non siamo come James Bond" non debba essere considerato un film documentario, semplicemente perchè ogni inquadratura risulta profondamente intrisa di verità nonostante sussistano con altrettanta evidenza le strutture "artificiali" che ne sorreggono l'ossatura. L'interrogativo è così risolto, paradossalmente, nella stessa evidenza di quella realtà che si vuole dimostrare.

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