martedì 4 marzo 2014


"La grande bellezza", la piccola Realtà, di Paolo Sorrentino

 di Stefano Savastano


Qualche anno fa il filosofo francese Jean Baudrillard disse che la Guerra del Golfo è esistita soltanto in televisione. I media hanno ucciso la realtà.  
Riflettendo sul concetto di realismo posto in essere dagli autori del cinema Neorealista – che include la ‘variante’ immaginifica di Fellini - viene da interrogarsi sullo sguardo alla realtà di noi uomini del XXI secolo. 
È opportuno stabilire subito una differenza tra realtà, entità stilistica ed estetica - al cinema quella dei derubati di biciclette, dei pescatori vessati e dei pensionati abbandonati a un tragico destino –, appannaggio degli storici del cinema, estetica dell’etica, e Realtà, flusso inesauribile di eventi dentro e fuori le persone. Appannaggio di tutti, artisti e non. La vita. 
 Conveniamo con Baudrillard che nella contemporaneità la realtà ha cessato di esistere, sosteniamo che la Realtà non cesserà mai di fluire finché gli umani popoleranno la terra. Truffaut si chiese se fosse più importante il cinema o la vita. Il fatto che dispensatori d’ingegno come Truffaut, nati, invecchiati e morti su questo pianeta come altri esseri umani non così noti ma altrettanto importanti come dispensatori di vita si siano posti simili questioni fa credere che esse non siano così oziose.  
 Una disciplina che si chiama ‘Fenomenologia degli stili’ orienta lo studio delle arti alla relazione tra l’anno di nascita degli artisti e la loro produzione. La ‘Fenomenologia degli stili’ è una sorta di scienza dell’identità generazionale degli artisti. 
 L’attribuzione a Sorrentino dell’eredità artistica di Fellini, come è stata più volte proposta, ci pare spontanea e legittima nella misura in cui spontaneo e legittimo è accostare due soggetti appartenenti al genere umano. Ma scorgere nelle opere dei due autori, ‘La grande bellezza’ e ‘La dolce vita’, comunanze poetiche o di atteggiamento intellettuale ci pare sintomo di simile attitudine onnicomprensiva e qui inadeguata.  
Siamo nel 2014: aggiungiamo alla riflessione di Baudrillard che la realtà si è fusa con la Realtà. La prima, ricordiamo, categoria storico-espressiva dei vessati ed emarginati neoreali cara agli storici del cinema, estetica dell’etica, la racconta oggi chi comprende che il reale oggettivo si è fuso con il reale soggettivo, con la semplice e autentica espressione dell’esistere. Dall’etica dell’estetica si è passati dagli anni ’80 a un’estetica onnivora che ha nascosto all’etica la sua strada maestra. L’arte e il cinema hanno risposto con un’estetica dell’estetica.  
Sorrentino mette il linguaggio al centro della propria espressione facendo di esso la Realtà. Un linguaggio pregno di visionarietà superficializzante e stilismo estetizzante ampiamente riconoscibili e condivisibili e che trovano legittimità culturale nella ricerca di un proposta etica. Proposta etica che Sorrentino articola ma che non riesce a sottrarre alla potenza destrutturante delle leggi di mercato. Pure assoggettato alle leggi dei media e delle immagini. 
 Le mani non stanno più in tasca a pugni ma si appoggiano alle spalle del vicino per il treno danzereccio. 
 La realtà è stata sostituita dai media. Lo diceva già nel 1967 Guy Debord con ‘La Società dello spettacolo’, nella quale il valore d’uso delle cose – la realtà – si è dissolto nel valore di scambio, la Realtà.  La cui definitiva, sistematica e onnipresente traccia nel mondo fisico è data dall’immagine. L’immagine che è dentro e fuori di noi, più di sempre la Realtà di tutti noi viventi del XXI secolo. ‘La grande bellezza’ di Sorrentino eredita non l’apparato immaginifico di Fellini, poeticamente e storicamente compromesso con il Neorealismo (lo eredita, certo, quanto qualsiasi regista responsabile assuma a modello i maestri della storia del cinema), ma tutto l’impianto cultural-immaginifico-televisivo degli anni ’80 dei vari Claudio Cecchetto, Raffaella Carrà, Discoring, Drive In: momento storico in cui la realtà – emarginati&co. neoreali – si è fusa con la Realtà – immagine interiore ed esteriore in cui tutto è possibile. 
Gli anni ’80 tanto odiati dai benpensanti perché è venuta meno la realtà necessaria a tenere viva l’ideologia della lotta di classe. Gli anni ’80 in cui l’estetica ha inglobato l’etica, momento di massima democratizzazione e desemantizzazione della realtà. Fenomenologia degli stili. Sorrentino è cresciuto negli anni ‘80 e negli anni ‘90 è diventato uomo. A quei tempi la realtà stava esalando gli ultimi respiri e non è proprio possibile che lui, come chiunque altro formatosi in quegli anni, ce la racconti. Per nascita, cultura, condizione socio economica.  
Né vuole farlo, a beneficio della sua – speriamo indiscutibile onestà intellettuale. ‘La grande bellezza’ è un film degli anni ‘80 come il 2014 (e anni precedenti) è lo specchio di ogni aspetto etico ed estetico degli anni ‘80. Uno specchio che ha inglobato l’etica e che ha fatto dell’estetica la merce di scambio di ogni transazione tra le persone. Estetica dell’estetica il cinema di Sorrentino. Estetica al quadrato.  
Il 2014 rappresenta il punto di arrivo degli anni ’80 e ‘La grande bellezza’ chiude con eleganza, dignità espressiva e forza evocativa l’immaginario nato in quel periodo. Sorrentino identifica gli ingredienti decadenti della società dello spettacolo sorta dalla fine degli anni ’70 e concettualizzata con eccezionale tempismo da Debord e li organizza in maniera gradevole sullo sfondo di una società degli aperitivi. Ma Sorrentino non è l’unico ad accorgersi che gli anni ’80 sono finiti e che ne racconta la dissoluzione.  
Se ‘La grande bellezza’ chiude il trentennio con stile ‘visionario’, ‘Il capitale umano’ di Paolo Virzì lo fa con la malattia del ‘realismo’. Malattia che si perdona al regista per la sua anagrafica (fenomenologia degli stili docet).  
La Roma di Sorrentino e la Brianza di Virzì sono la stessa faccia della stessa medaglia. Luoghi che non esistono nella realtà (quelli di Virzì stanno forse un po’ nella realtà dei Neorealisti), ma nella Realtà dei loro autori e degli italiani dai 38 anni in su. 
 La piccola realtà dei loro autori: non meno o più dignitosa di altre. Sono opere di restauro ottimamente commissionate ed egregiamente eseguite che portano alla luce affreschi incisi nell’immaginario di tutti coloro che hanno vissuto gli anni ’80.  
Ci piacciono tanto perché ci conducono, divertendoci, su territori che già conosciamo bene. E ci rassicurano.‘La grande bellezza’ piace forse meno a quei criticoni nati prima degli anni ’60 che di realtà ne masticano qualcosa. 
 I nostri autori – quelli bravi come Sorrentino e Virzì, tra gli altri – raccontano bene la Realtà: flusso costante e inesauribile di idee, emozioni, proposte, idiosincrasie inerenti la stessa natura umana. Il linguaggio dell’intimità. Che ormai da un pezzo coincide con la realtà. L’unica che chi ha dai quarant’anni in giù può riconoscere. C’è chi racconta con piglio ‘visionario’, chi con ‘realismo’, chi con gli strumenti della commedia. 
 Qualcuno che racconti la realtà del 2014 deve ancora arrivare. Qualche piccolo segnale arriva da chi nella realtà ci è nato e cresciuto: Marco Bellocchio e ‘La bella addormentata’ (curioso il ricorso a questo aggettivo). Quando sarà definitivamente sparita dalla circolazione l’illusione che la realtà – quella del valore d’uso degli storici del Neorealismo, dell’estetica dell’etica – possa riaffacciarsi all’universo del pensiero scissa dalla Realtà dell’intimo umano e dell’immaginazione non correremo più il rischio che qualche Rossellini appaia e proponga di documentare il mondo esattamente come è in realtà. A detta degli storici del cinema, per lo meno.





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