"La grande bellezza", la piccola Realtà, di Paolo Sorrentino
di Stefano Savastano
Riflettendo sul concetto di realismo posto in
essere dagli autori del cinema Neorealista – che include la ‘variante’
immaginifica di Fellini - viene da interrogarsi sullo sguardo alla realtà di
noi uomini del XXI secolo.
È opportuno stabilire subito una differenza tra
realtà, entità stilistica ed estetica - al cinema quella dei derubati di
biciclette, dei pescatori vessati e dei pensionati abbandonati a un tragico
destino –, appannaggio degli storici del cinema, estetica dell’etica, e Realtà,
flusso inesauribile di eventi dentro e fuori le persone. Appannaggio di tutti,
artisti e non. La vita.
Conveniamo con Baudrillard che nella
contemporaneità la realtà ha cessato di esistere, sosteniamo che la Realtà non
cesserà mai di fluire finché gli umani popoleranno la terra. Truffaut si chiese se fosse più importante il
cinema o la vita. Il fatto che dispensatori d’ingegno come Truffaut,
nati, invecchiati e morti su questo pianeta come altri esseri umani non così
noti ma altrettanto importanti come dispensatori di vita si siano posti simili
questioni fa credere che esse non siano così oziose.
Una disciplina che si chiama ‘Fenomenologia degli stili’ orienta lo studio delle arti alla relazione tra l’anno di nascita degli artisti e la loro produzione. La ‘Fenomenologia degli stili’ è una sorta di scienza dell’identità generazionale degli artisti.
Una disciplina che si chiama ‘Fenomenologia degli stili’ orienta lo studio delle arti alla relazione tra l’anno di nascita degli artisti e la loro produzione. La ‘Fenomenologia degli stili’ è una sorta di scienza dell’identità generazionale degli artisti.
L’attribuzione a Sorrentino dell’eredità artistica
di Fellini, come è stata più volte proposta, ci pare spontanea e legittima
nella misura in cui spontaneo e legittimo è accostare due soggetti appartenenti
al genere umano. Ma scorgere nelle opere dei due autori, ‘La grande bellezza’ e
‘La dolce vita’, comunanze poetiche o di atteggiamento intellettuale ci pare
sintomo di simile attitudine onnicomprensiva e qui inadeguata.
Siamo nel 2014: aggiungiamo alla riflessione di Baudrillard
che la realtà si è fusa con la Realtà. La prima, ricordiamo, categoria
storico-espressiva dei vessati ed emarginati neoreali cara agli storici del
cinema, estetica dell’etica, la racconta oggi chi comprende che il reale
oggettivo si è fuso con il reale soggettivo, con la semplice e autentica
espressione dell’esistere. Dall’etica dell’estetica si è passati dagli anni ’80
a un’estetica onnivora che ha nascosto all’etica la sua strada maestra. L’arte
e il cinema hanno risposto con un’estetica dell’estetica.
Sorrentino mette il linguaggio al centro della propria espressione facendo di esso la Realtà. Un linguaggio pregno di visionarietà superficializzante e stilismo estetizzante ampiamente riconoscibili e condivisibili e che trovano legittimità culturale nella ricerca di un proposta etica. Proposta etica che Sorrentino articola ma che non riesce a sottrarre alla potenza destrutturante delle leggi di mercato. Pure assoggettato alle leggi dei media e delle immagini.
Sorrentino mette il linguaggio al centro della propria espressione facendo di esso la Realtà. Un linguaggio pregno di visionarietà superficializzante e stilismo estetizzante ampiamente riconoscibili e condivisibili e che trovano legittimità culturale nella ricerca di un proposta etica. Proposta etica che Sorrentino articola ma che non riesce a sottrarre alla potenza destrutturante delle leggi di mercato. Pure assoggettato alle leggi dei media e delle immagini.
Le mani non stanno più in tasca a pugni ma si
appoggiano alle spalle del vicino per il treno danzereccio.
La realtà è stata sostituita dai media. Lo diceva
già nel 1967 Guy Debord con ‘La Società dello spettacolo’, nella quale il
valore d’uso delle cose – la realtà – si è dissolto nel valore di scambio, la
Realtà. La cui definitiva, sistematica e
onnipresente traccia nel mondo fisico è data dall’immagine. L’immagine che è
dentro e fuori di noi, più di sempre la Realtà di tutti noi viventi del XXI
secolo. ‘La grande bellezza’ di Sorrentino eredita non
l’apparato immaginifico di Fellini, poeticamente e storicamente compromesso con
il Neorealismo (lo eredita, certo, quanto qualsiasi regista responsabile assuma
a modello i maestri della storia del cinema), ma tutto l’impianto
cultural-immaginifico-televisivo degli anni ’80 dei vari Claudio Cecchetto,
Raffaella Carrà, Discoring, Drive In: momento storico in cui la realtà –
emarginati&co. neoreali – si è fusa con la Realtà – immagine interiore ed
esteriore in cui tutto è possibile.
Gli anni ’80 tanto odiati dai benpensanti perché è
venuta meno la realtà necessaria a tenere viva l’ideologia della lotta di
classe. Gli anni ’80 in cui l’estetica ha inglobato
l’etica, momento di massima democratizzazione e desemantizzazione della realtà. Fenomenologia degli stili. Sorrentino è cresciuto
negli anni ‘80 e negli anni ‘90 è diventato uomo. A quei tempi la realtà stava
esalando gli ultimi respiri e non è proprio possibile che lui, come chiunque
altro formatosi in quegli anni, ce la racconti. Per nascita, cultura,
condizione socio economica.
Né vuole farlo, a beneficio della sua – speriamo –
indiscutibile onestà intellettuale. ‘La grande bellezza’ è un film degli anni ‘80 come
il 2014 (e anni precedenti) è lo specchio di ogni aspetto etico ed estetico
degli anni ‘80. Uno specchio che ha inglobato l’etica e che ha
fatto dell’estetica la merce di scambio di ogni transazione tra le persone. Estetica dell’estetica il cinema di Sorrentino.
Estetica al quadrato.
Il 2014 rappresenta il punto di arrivo degli anni
’80 e ‘La grande bellezza’ chiude con eleganza, dignità espressiva e forza
evocativa l’immaginario nato in quel periodo. Sorrentino identifica gli ingredienti decadenti
della società dello spettacolo sorta dalla fine degli anni ’70 e
concettualizzata con eccezionale tempismo da Debord e li organizza in maniera
gradevole sullo sfondo di una società degli aperitivi. Ma Sorrentino non è l’unico ad accorgersi che gli
anni ’80 sono finiti e che ne racconta la dissoluzione.
Se ‘La grande bellezza’ chiude il trentennio con
stile ‘visionario’, ‘Il capitale umano’ di Paolo Virzì lo fa con la malattia
del ‘realismo’. Malattia che si perdona al regista per la sua anagrafica
(fenomenologia degli stili docet).
La Roma di Sorrentino e la Brianza di Virzì sono
la stessa faccia della stessa medaglia. Luoghi che non esistono nella realtà
(quelli di Virzì stanno forse un po’ nella realtà dei Neorealisti), ma nella
Realtà dei loro autori e degli italiani dai 38 anni in su.
La piccola realtà dei loro autori: non meno o più
dignitosa di altre. Sono opere di restauro ottimamente commissionate
ed egregiamente eseguite che portano alla luce affreschi incisi
nell’immaginario di tutti coloro che hanno vissuto gli anni ’80.
Ci piacciono tanto perché ci conducono,
divertendoci, su territori che già conosciamo bene. E ci rassicurano.‘La grande
bellezza’ piace forse meno a quei criticoni nati prima degli anni ’60 che di
realtà ne masticano qualcosa.
I nostri autori – quelli bravi come Sorrentino e
Virzì, tra gli altri – raccontano bene la Realtà: flusso costante e
inesauribile di idee, emozioni, proposte, idiosincrasie inerenti la stessa
natura umana. Il linguaggio dell’intimità. Che ormai da un pezzo coincide con
la realtà. L’unica che chi ha dai quarant’anni in giù può riconoscere. C’è chi racconta con piglio ‘visionario’, chi con
‘realismo’, chi con gli strumenti della commedia.
Qualcuno che racconti la realtà del 2014 deve
ancora arrivare. Qualche piccolo segnale arriva da chi nella realtà ci è nato e
cresciuto: Marco Bellocchio e ‘La bella addormentata’ (curioso il ricorso a
questo aggettivo). Quando sarà definitivamente sparita dalla
circolazione l’illusione che la realtà – quella del valore d’uso degli storici
del Neorealismo, dell’estetica dell’etica – possa riaffacciarsi all’universo
del pensiero scissa dalla Realtà dell’intimo umano e dell’immaginazione non
correremo più il rischio che qualche Rossellini appaia e proponga di
documentare il mondo esattamente come è in realtà. A detta degli storici del
cinema, per lo meno.
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