di Francesca Ragozzino
La regia di Emanuele Crialese
in “Terraferma” punta a un’estrema drammatizzazione, sicuramente il plot
incentrato sull’immigrazione contribuisce al senso di dolore e di angoscia. Il
mare è il filo conduttore, esso dona
claustrofobia, in un’isola dove tutto arriva e niente esce, ad eccezione
dell’ultima inquadratura.
È inganno e tragedia con l’approdo di tanti uomini
neri che rompono la quotidianità turistica e portano con sé una nebbia nera che
ricopre le vite e lo sguardo degli isolani, costretti a guardare con gli occhi
della verità, cambiando le loro prospettive e priorità. Ad eccezione di alcuni
personaggi, che rimarranno fermi, fin troppo, sui loro principi, del tutto
opposti al messaggio di solidarietà ed impegno civile su cui punta il film.
Ma
il mare è anche purificazione e presa di coscienza, in particolare per il
protagonista Filippo, ventenne ancora "mammone" e immaturo che, messo a contatto
con la brutale realtà, cresce d’improvviso.
L’inquadratura chiarificatrice di
questo passaggio è il tuffo del ragazzo dopo la lunga sequenza in ralenti,
questo suo battesimo lo porterà a
compiere un atto di coraggio, avventurarsi nelle acque tempestose per condurre
la donna nera e i suoi figli, precedentemente salvati e clandestinamente ospitati
dalla famiglia, alla libertà.
La fotografia di “Terraferma” enfatizza il dramma. Infatti, con il procedere del film i colori diventano sempre più scuri, con
l’arrivo della donna nera tutte le scene d’interno si fanno cupe, accentuando il
nascosto e portando ogni inquadratura ad una graduale drammaticità non solo
cromatica. Anche i colori del mare tendono sempre più al nero, color petrolio: un’acqua densa, pesante, ricca di angoscia, dalla quale emergono come zombie delle ombre
scure.
All’inumanità di queste ombre, che tentano quasi di affondare la barca
rubata da Filippo durante la notte, si contrappone in maniera molto accentuata la
forte e commovente umanità della sequenza
in ralenti. E' come se il regista ci volesse far sentire in colpa per aver
avuto timore delle ombre nella sequenza precedente perché quelle non erano
altro che uomini e donne in pericolo di vita che cercavano aiuto. Entriamo per
qualche minuto nella testa di Filippo per capire probabilmente il suo
cambiamento. Talvolta gli eccessi di drammatizzazione creano in me senso di
rifiuto e di nausea, ma sicuramente le scelte registiche riescono con astuzia a
creare un’atmosfera angosciante e più che mai al passo con gli avvenimenti.
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