martedì 22 ottobre 2013

Il dramma è nero. "Terraferma", di Emanuele Crialese

di Francesca Ragozzino

La regia di Emanuele Crialese in “Terraferma” punta a un’estrema drammatizzazione, sicuramente il plot incentrato sull’immigrazione contribuisce al senso di dolore e di angoscia. Il mare è  il filo conduttore, esso dona claustrofobia, in un’isola dove tutto arriva e niente esce, ad eccezione dell’ultima inquadratura. 
È inganno e tragedia con l’approdo di tanti uomini neri che rompono la quotidianità turistica e portano con sé una nebbia nera che ricopre le vite e lo sguardo degli isolani, costretti a guardare con gli occhi della verità, cambiando le loro prospettive e priorità. Ad eccezione di alcuni personaggi, che rimarranno fermi, fin troppo, sui loro principi, del tutto opposti al messaggio di solidarietà ed impegno civile su cui punta il film. 

Ma il mare è anche purificazione e presa di coscienza, in particolare per il protagonista Filippo, ventenne ancora "mammone" e immaturo che, messo a contatto con la brutale realtà, cresce d’improvviso.
L’inquadratura chiarificatrice di questo passaggio è il tuffo del ragazzo dopo la lunga sequenza in ralenti, questo  suo battesimo lo porterà a compiere un atto di coraggio, avventurarsi nelle acque tempestose per condurre la donna nera e i suoi figli, precedentemente salvati e clandestinamente ospitati dalla famiglia, alla libertà. 

La fotografia di “Terraferma” enfatizza il dramma. Infatti, con il procedere del film i colori diventano sempre più scuri, con l’arrivo della donna nera tutte le scene d’interno si fanno cupe, accentuando il nascosto e portando ogni inquadratura ad una graduale drammaticità non solo cromatica. Anche i colori del mare tendono sempre più al nero, color petrolio: un’acqua densa, pesante, ricca di angoscia, dalla quale emergono come zombie delle ombre scure. 
All’inumanità di queste ombre, che tentano quasi di affondare la barca rubata da Filippo durante la notte, si contrappone in maniera molto accentuata la forte e commovente umanità  della sequenza in ralenti. E' come se il regista ci volesse far sentire in colpa per aver avuto timore delle ombre nella sequenza precedente perché quelle non erano altro che uomini e donne in pericolo di vita che cercavano aiuto. Entriamo per qualche minuto nella testa di Filippo per capire probabilmente il suo cambiamento. Talvolta gli eccessi di drammatizzazione creano in me senso di rifiuto e di nausea, ma sicuramente le scelte registiche riescono con astuzia a creare un’atmosfera angosciante e più che mai al passo con gli avvenimenti.

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