mercoledì 16 ottobre 2013

Ritratto di un Maestro. "Che strano chiamarsi Federico", di Ettore Scola

di Francesca Ragozzino


Scola ha realizzato un incantevole ritratto di Federico Fellini, un mosaico di interviste, disegni, voci, ricordi, fotografie, video e finzione. Per il ventennale della sua morte, il film riesce a mantenere quel carattere eccentrico e del tutto particolare proprio del Maestro. E solamente un caro amico e compagno di vita come Scola poteva mettere insieme in tal modo tutti i ricordi, permettendo un’immersione cangiante e totale in quel periodo incantevole e pieno di sogni.

L’uso del bianco e nero è armonioso e ben equilibrato, per nulla scontato, poiché non accompagna solamente i momenti in cui Fellini era ragazzo, ma si alterna seguendo un filo logico stravagante e trasognato. 
L’uso del set è del tutto particolare e ciò si nota già dalla prima inquadratura in cui è presente Fellini di spalle che guarda il mare. Improvvisamente entra una ballerina che ci fa subito capire che si è all’interno dello studio cinematografico, e che quel mare non è altro che un fondale. 
Il famoso Studio 5, che ha accompagnato Fellini in tutta la sua carriera cinematografica, è il secondo protagonista del film, sempre messo volutamente in risalto con specifiche inquadrature. 
In particolare nel momento del funerale del regista, nel quale sono state utilizzate le immagini reali dell’avvenimento, l’attore che interpreta il Maestro scappa dal suo stesso funerale, rincorso da due gendarmi. Questa fuga accompagna lo spettatore nel cuore di Cinecittà tra immense scenografie, fondali e oggetti scenici di tutti i tipi, come se l’ultimo saluto di Fellini fosse stato per Scola una corsa liberatoria all’interno dei suoi stessi set. 
Un bombardamento di immagini e ricordi portano lo spettatore ad accumulare un numero spropositato di impressioni  visive, di spaesamento e tanto colore che in fin dei conti ci riportano alle sensazioni che generavano, almeno alla maggior parte degli spettatori, i suoi film.

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