Scola ha realizzato un incantevole ritratto di Federico
Fellini, un mosaico di interviste, disegni, voci, ricordi, fotografie, video e
finzione. Per il ventennale della sua morte, il film riesce a mantenere quel
carattere eccentrico e del tutto particolare proprio del Maestro. E solamente un caro amico e compagno di vita come Scola poteva mettere insieme in
tal modo tutti i ricordi, permettendo un’immersione cangiante e totale in quel
periodo incantevole e pieno di sogni.
L’uso del bianco e nero è armonioso e ben
equilibrato, per nulla scontato, poiché non accompagna solamente i momenti in
cui Fellini era ragazzo, ma si alterna
seguendo un filo logico stravagante e trasognato.
L’uso del set è del tutto
particolare e ciò si nota già dalla prima inquadratura in cui è presente
Fellini di spalle che guarda il mare. Improvvisamente entra una ballerina che
ci fa subito capire che si è all’interno dello studio cinematografico, e che
quel mare non è altro che un fondale.
Il famoso Studio 5, che ha accompagnato
Fellini in tutta la sua carriera cinematografica, è il secondo protagonista del
film, sempre messo volutamente in risalto con specifiche inquadrature.
In
particolare nel momento del funerale del regista, nel quale sono state utilizzate le
immagini reali dell’avvenimento, l’attore che interpreta il Maestro scappa dal
suo stesso funerale, rincorso da due gendarmi. Questa fuga accompagna lo
spettatore nel cuore di Cinecittà tra immense scenografie, fondali e oggetti
scenici di tutti i tipi, come se l’ultimo saluto di Fellini fosse stato per
Scola una corsa liberatoria all’interno dei suoi stessi set.
Un bombardamento
di immagini e ricordi portano lo spettatore ad accumulare un numero
spropositato di impressioni visive, di
spaesamento e tanto colore che in fin dei conti ci riportano alle sensazioni
che generavano, almeno alla maggior parte degli spettatori, i suoi film.
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