giovedì 18 febbraio 2016

LIBRI - Luciano Curreri e Michel Delville (a cura di), "Il grande ‘Incubo che mi son scelto’. Prove di avvicinamento a 'Profondo Rosso' (1975-2015)", Piombino, Edizioni Il Foglio, 2015.

di Daniele Pomilio

Il grande ‘Incubo che mi son scelto’ è un volume collettaneo di studi che festeggia i quarant’anni dall’uscita di Profondo rosso, il film cult di Dario Argento qui canonizzato come grande classico del cinema horror italiano da un gruppo di studiosi operanti in diversi atenei nazionali e interazionali. In questo libro, redatto in tre lingue in uno stile volutamente informale se non addirittura conviviale, troviamo tutte le credenziali per esplorare a fondo questo thriller di forte impatto sonoro e visivo. I due curatori (Michel Delville e Luciano Curreri) ne raccontano i contesti, anticipando le annotazioni di Daniele Comberiati sull’influsso di questo film sulla letteratura horror italiana degli anni Novanta e sul fumetto horror italiano. Seguendo percorsi autobiografici a tratti anche un po’ casuali, gli autori ricostruiscono il fitto dialogo del regista romano con i classici dell’horror americani nella temperie politica e culturale degli anni Settanta, carica di suggestioni kitsch e di eccessi rielaborati in maniera esemplare in una forma che anticipa molti aspetti del cinema splatter. Curreri ripercorre gli anni turbolenti che seguirono all’impegno del Sessantotto, e vissuti nel mito di una rivoluzione associata a una violenza che, come sottolinea Delville, andò a convergere nel carattere splatter del film e della relativa discesa negli inferi che esso suggerisce.

Marco Giori racconta il disadattamento dei diversi che Argento pone al centro del suo racconto cinematografico, nel quadro di un immaginario sociale ancora rigidamente eterosessuale e che indusse il regista a non rimuovere presenze perturbanti e personalità traumatizzate nella sua pellicola. Tutte queste turbolenza e trasgressività represse trovano una forma truculenta nei film gialli di Argento, i quali raccontano di nevrotici e di maniaci, segnati da traumi infantili e da una serie di disfunzioni comportamentali. Sono d’altronde proprio quelli gli anni della legge Basaglia e dell’apertura dei manicomi e, non a caso, i film di Dario Argento liberano tutte le intemperanze e le distorsioni patologiche associate al profilo complesso dell’omicida. Non a caso, come ricorda in seguito Duffett, Argento, come Ingmar Bergman prima di lui, fonda la sua visione cinematografica sui propri stessi incubi e sulle proprie ossessioni, facendo in modo che gli eccessi splatter delle sue pellicole sprigionino tutto il caos di un’energia psichica capace di rompere gli schemi razionali entro un disegno iperbolico e spettacolare.

Dalle pagine di questa raccolta di saggi scopriamo, quindi, un Argento cultore della psicoanalisi e grande ammiratore dell’Hitchcock di Psycho, che assorbe il modello di omicida psicotico già comparso nel lavoro di un altro suo grande maestro, il regista Mario Bava. Più di un saggio nel volume affronta il legame di Profondo Rosso con il Psycho di Hitchcock. Michel Delville scava anche nelle origini letterarie e americane del genere horror, insistendo sulla passione di Argento per i racconti di Poe e la sua erotizzazione del cadavere. A questo proposito, egli ricorda anche l’importanza di un altro maestro americano del racconto del terrore, H. P. Lovecraft, il quale impresse al racconto gotico ottocentesco forti connotazioni dichiaratamente psicologiche.   

 Delville insiste molto anche sulle implicazioni simboliche del cromatismo del titolo del film, il quale rimanda all’intensità del colore rosso sangue, che è “profonda” proprio perché in stretta relazione con un’interiorità buia e inconscia che  conflagra nell’escalation sanguinosa e distruttiva del film, in base a una scelta stilistica che, secondo Delville, assume una precisa connotazione politica. L’ossessione edipica su cui s’incentra il modello hitchcockiano a cui si ispirano tutti i maestri del cinema del terrore degli anni Settanta torna nelle considerazioni di Mark Duffett, il quale coglie i segni dell’unheimlich e della progressiva defamiliarizzazione delle relazioni domestiche che, a suo avviso, costituiscono anche un omaggio di Argento al Blow-Up di Antonioni.

Alexandra Heller-Nicholas e Craig Martin si soffermano sulla rappresentazione dei bambini che, nei film di Argento, hanno il ruolo di vittime che manifestano tutto il loro disagio attraverso i loro disegni premonitori. E’ a questo proposito che i due critici rileggono il film anche come la risposta italiana a L’esorcista di William Friedkin e a Rosemary’s Baby di Roman Polanski.

Peter Hutchings prende invece le mosse dalla colonna sonora molto innovativa dei Goblin, contrastandola con le scene jazzate che accompagnano uno dei protagonisti, Marc, giunto a Torino per l’appunto per diventare insegnante di jazz, e cioè di una musica che, come si sente dire nel film, nacque nei bordelli, e che è molto lontana dal miracoloso connubio prodotto nel film dalla colonna sonora del pop elettronico firmata dai Goblin. La musica  di Profondo rosso interpreta appieno la spirale patologica che , nel film, culmina nell’immagine del quadro dell’omicidio dipinto dal giovane figlio dell’assassina, nel tentativo di coprire il primo omicidio della madre.

Léopold Dubois evoca invece i temi del travestimento, rimandando a Dressed to Kill di De Palma, rielaborando il mascheramento transgender che s’impone nella scena dello specchio in cui, per pochi istanti agghiaccianti, s’intravede l’omicida vestita in abiti maschili, come nota anche Delville.

Jeremy Hamers, Dick Tomasovic e Laurent Vanclaire concludono questa dinamica rassegna analitica su questo capolavoro dell’horror italiano che viene esaminato, articolo dietro articolo, in quasi ogni singolo segmento, fino a offrire un quadro d’insieme di tutti i piani del linguaggio cinematografico di Argento, in un mosaico critico, condotto affabilmente, e che ha l’obiettivo non banale di classicizzare, sebbene in ritardo, questo capolavoro del cinema italiano.


Una bibliografia completa sul film avrebbe di certo valorizzato i diversi pregi di questo volume coraggiosamente edito da una piccola casa livornese già nota per essere entrata due volte in lizza per il Premio Strega.

Nessun commento:

Posta un commento