di Luca Petrassi
Da
Chioggia a Lampedusa il viaggio è lungo e gli ambienti estremamente differenti.
A
Chioggia i contrasti sono quasi assenti, la luce grigia, la nebbia fitta e il
mare gelido avvolgono tutti: culture vicine e lontane; lavoratori e pensionati;
sfruttati e miserabili; Italiani e Altri.
Andrea Segre, regista di Io sono Li, lo
sa bene, e alla sua maniera tenta di mostrare “la realtà” della storia. Lo Spazio d’azione nel suo film gioca un ruolo ben preciso. L’umanità dei primi piani dei protagonisti è silenziosa,
ma la macchina (in movimento) li segue mentre compiono azioni elementari e
formulano desideri semplici; primi piani che si contrappongono in modo
angosciante alle panoramiche di porti e
spiagge vuoti o semivuoti.
Quando nell’ambiente il sole (che genera contrasto) è assente, Segre lo plasma su vite innocenti di uomini e donne costretti a lottare per andare avanti. I personaggi sono immersi fisicamente in acqua per la maggior parte del tempo (come nel rituale asiatico in memoria di un poeta antico). L’acqua invade le strade e in una sequenza al centro della narrazione entra perfino nel locale in cui Shun Li lavora, in una sorta di simbolico - quanto artefatto - battesimo sociale.
La storia
è lineare, senza vuoti, seppur esibisce una evidente circolarità: l’intimità parabolica tra il pensionato e
Shun Li, il loro reciproco sentirsi stranieri (Altri), l’allontanamento e la
morte del vecchio “poeta” e il funerale intimo e rituale che Shun Li gli
riserva.
Una narrazione così puntale che non distrae lo spettatore dal problema
sociale affrontato. Ma nelle inquadrature di Segre c’è una grazia e una
dolcezza che è quella di un vecchio pescatore. Lo sguardo sul mare e i paesaggi
che genera è quello del padre di Shun Li e del vecchio Bepi.
Crialese
ha a disposizione in Terraferma i contrasti di luce che a Segre mancano e li sfrutta
estremizzandoli, rendendoli simboli: la maggior parte delle sequenze soleggiate
(a parte il salvataggio in mare dei primi naufraghi) trovano l’ipocrisia degli
isolani protagonisti. Mentre i temi sociali, i conflitti intimi del film, si
consumano nell’ombra più nera.
Segre
dalla piattezza genera il conflitto, Crialese decide di accentuare quello che
già ha di fronte, e il contesto, l’ambiente, rimane soltanto ambientazione all’interno
della quale i personaggi agiscono in maniera sentimentale.
Sono confusi e
deboli. La macchina da presa li segue in attesa di un’esternazione emozionante,
talvolta esagerata. Non è la storia di nessuno, è la situazione di un’isola e
dei suoi abitanti, i cui valori vengono messi in discussione e lacerati dal
buio distorto, dal Nero, dall’uomo.
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